Tondeggianti ma un po’ affusolate, dalla polpa color rosa intenso-violaceo e il sapore piacevolmente amarognolo, le olive di Gaeta sono molto apprezzate fin dall’antichità e presenti addirittura nella mitologia.
Secondo la leggenda, i marinai del valoroso Enea, in viaggio verso la penisola italica dopo la guerra di Troia, navigando lungo la costa di Gaeta videro dei minuscoli frutti scuri galleggiare sull’acqua, decisero di raccoglierli e si accorsero che erano olive: dovevano essere cadute dagli alberi sui terreni a picco sul Tirreno.
Le trovarono squisite, forse proprio per quel gusto in più dato dalla permanenza in mare. Ecco quale sarebbe secondo la tradizione l’origine delle famose olive in salamoia.

Che il mito nasconda o meno un fondo di verità, di certo la città costiera era già un famoso luogo di villeggiatura nel periodo romano, dove trascorrevano le vacanze i patrizi, senatori dell’epoca e addirittura imperatori. Questo sfarzo è testimoniato ancora oggi da imponenti edifici come il mausoleo di Lucio Munazio Planco, già console romano e prefetto dell’Urbe. E con le bellezze della città, i turisti più o meno nobili nel corso dei secoli hanno apprezzato anche le tipicità gastronomiche.
In particolare, appunto, le olive di Gaeta videro consolidare il loro florido mercato nel 1400 quando il territorio era un Ducato ed ebbe un importante sviluppo sia dell’agricoltura che della navigazione. Olio e olive erano quindi esportati via mare in buona parte del mondo allora conosciuto.
Sono numerosi documenti ufficiali che riguardano la produzione e il commercio di olive da tavola. L’espressione oliva di Gaeta faceva già parte del gergo comune di mercanti e olivicoltori per indicare l’oliva Itrana nera da tavola, ottenuta secondo il particolare sistema di trasformazione locale (nel 1498, per esempio, il duca Ercole I d’Este chiese all’ambasciatore a Roma, Feltrino Manfredi, di procurargli le famose delizie di cui aveva tanto sentito parlare).

Così per secoli questa produzione è stata al centro di prosperi commerci, fino a una gravissima battuta d’arresto. Tra il novembre 1860 e il febbraio del 1861, nell’ambito delle battaglie che portarono poi all’Unità d’Italia, Gaeta fu messa sotto assedio dall’esercito sabaudo perché nel territorio si erano rifugiati i soldati del Regno delle due Sicilie. Non solo perdita di uomini, ma di un’intera economia: “Per scaldarsi dal freddo, i piemontesi avevano abbattuto centomila olivi e carrubi, patrimonio della zona”, come si legge nel libro di Giordano Bruno Guerri “Il sangue del Sud – antistoria del Risorgimento e del Brigantaggio”. La stragrande maggioranza dei frantoi, inoltre, sarebbe stata smontata e successivamente portata al nord.

Ci sono voluti decenni per riprendersi da quei fatti, ma oggi per fortuna, e per la caparbia degli agricoltori, possiamo ancora godere di questi frutti, che proprio per le salde radici storiche, oltre che per le caratteristiche qualitative, hanno ottenuto la denominazione di origine protetta nel 2016.
Non un’oliva come tante altre dunque: le olive di Gaeta della pregiata varietà Itrana (da Itri paese vicino Gaeta sui monti Aurunci) si distinguono per l’aspetto e per il tipo di lavorazione. Come tutte le olive devono essere trattate prima del consumo, infatti contengono la Oleuropeina, composto fenolico caratterizzato da una forte attività antiossidante, quindi benefico, ma talmente amaro da renderle immangiabili appena colte. A seconda di come si effettua il processo di deamarificazione si hanno risultati diversi.

Quello delle olive di Gaeta è lungo e dispendioso ma consente risultati che tutti i gourmet apprezzano. Le drupe sono raccolte allo stadio di piena maturità, quando l’epicardio è scuro, brillante e a volte ricoperto da una velatura pruinosa - localmente definita “panno” - mentre la polpa vira dal colore bianco verso il rosso venoso - “insanguinamento“ - a partire dalla periferia del frutto. Dopo la raccolta vengono trasportate in contenitori inerti provvisti di aperture per la circolazione dell’aria. Il prodotto è poi sottoposto alla calibratura, per eliminare drupe troppo piccole, e alla cernita manuale, per scartare le olive non sufficientemente mature o attaccate da parassiti o danneggiate dal gelo o durante il trasporto.
Entro 24 ore dalla raccolta devono essere avviate al processo di lavorazione, secondo il sistema alla Istrana. Le druoe vengono poste in recipienti che saranno riempiti con acqua potabile dove restano da 10 a 30 giorni per permettere l’avvio e lo sviluppo naturale del processo di fermentazione, al termine del quale il Ph diventa inferiore o uguale a 4,5. Quindi si procede all’aggiunta del sale da cucina, in quantità di circa 65-70 g per chilo, e si ottiene così la salamoia, che si presenta di colore rosso vinoso brillante e odore lattico con leggero spunto acetico. Dopo non meno di cinque mesi dalla salatura, sono pronte per essere confezionate e avviate al consumo.

Per la gioia del palato ma anche della salute: le olive contengono grassi vegetali monoinsaturi e polinsaturi, quelli più digeribili, preziosi per l’organismo, come l’acido linoleico (che le druoe contengono in percentuali simili al latte materno), vitamine soprattutto A, D ed E, e quegli alleati naturali in funzione antiossidante che sono i polifenoli. Non a caso sono da sempre uno dei simboli della dieta mediterranea.

Fonte: https://www.repubblica.it/sapori/2021/01/08/news/olive_di_gaeta_da_enea_all_esercito_piemontese_le_vicende_della_drupa_dop-281679062/

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